domenica 16 ottobre 2011

OccupyLSX resist

St. Paul Cathedral 16 oct


Twitter: twitter.com / OccupyLSX; hashtag # OccupyLSX OLSX # # # OccupyLondon oct15
Facebook: www.facebook.com / occupylondon
Video in diretta: www.livestream.com / occupylsx
Sito web: occupylsx.org
Flickr: http://www.flickr.com/people/occupylsx
Email: general@occupylsx.org




Istruzioni

sabato 15 ottobre 2011

We're 99%

Precisi anche nell'occupare

Qualche foto dell'occupazione della piazza di fronte alla Cattedrale di St. Paul, adiacente alla piazza della Borsa (London Stock Exchange) di Londra.
Per aggiornamenti:

http://occupylondon.org.uk/
http://occupylsx.org/
twitter.com/occupylsx
facebook.com/occupylondon

Siamo il 99%

C'e' anche Assange

La manifestazione doveva essere non violenta e cosi e' stata.
 
La piazza e' nostra. Teniamola pulita.

Assemblee per discutere e decidere. Nessun leader. Nessuna gerarchia.

Seduti: la resistenza nonviolenta

L'ispirazione

A mezzanotte piu' di 50 tende in piazza

I banchieri sono i veri saccheggiatori

Il popolo e' troppo grande per fallire

domenica 9 ottobre 2011

BLOCK THE BILL BLOCK THE BRIDGE

Oggi dall'una alle 5 del pomeriggio a Londra centinaia di persone hanno bloccato il ponte di Westminster per protestare contro i tagli al sistema sanitario nazionle (NHS) previsti dal governo
http://www.ukuncut.org.uk
Un'importante azione di disobbedienza civile che a giudicare dal dispiegamento di forze di polizia preoccupa non poco.







sabato 8 ottobre 2011

CUT THE WAR NOT WELFARE

Manifestazione per il ritiro delle truppe dall'Afghanistan a Downing Street





domenica 2 ottobre 2011

Europe against austerity

"Tre anni fa l'economia mondiale era sull'orlo del precipizio. La caduta è stata evitata solo grazie al piano di salvataggio delle banche con i soldi pubblici, migliaia di miliardi di euro. Questa risposta alla crisi ha ancora di più accentuato il divario tra ricchi e poveri e portato alla crisi dei debiti nazionali.

     I governi di tutta Europa e non solo propongono ora una sola soluzione - draconiane misure di austerità che minacciano la sopravvivenza di milioni di persone comuni."
Così iniziava l'appello pubblicato sul Guardian da Coalition of Resistance per la conferenza organizzata a Londra sabato primo ottobre per tentare di affrontare la crisi dal basso e in modo coordinato a livello europeo.

Alla conferenza hanno partecipato diverse organizzazioni europee tra cui European Left Party, Die Linke (Germania), Attac, CADTM, Nouveau Parti Anticapitaliste (Francia), Cobas (Italia), OLME (Grecia) etc (qui la lista completa)

Molti tra i relatori si sono concentrati su come invertire "il circolo vizioso delle banche" (definizione dell'economista James Meadway),
Recessione -> minori entrate -> debiti non pagati -> un altro salvataggio con soldi pubblici -> più tagli alla spesa pubblica -> recessione ancora più profonda-> ...

trasformandolo nel "circolo virtuoso" che prevede Investimenti pubblici pianificati -> Crescita sostenibile -> Entrate maggiori -> Debiti pagati -> Nuovi prestiti -> nuovi investimenti-> ...


Per fare questo, però, occorre agire in modo coordinato almeno a livello europeo contro le politiche di austerità imposte dai governi e per una regolamentazione dei mercati finanziari.
Le lotte isolate e circoscritte all'interno dei singoli paesi non sono più sufficienti.
A tal proposito, particolarmente interessante la proposta lanciata da Olivier Besancenot dell NPA per uno Sciopero Generale Europeo.

Milionari e non


Traduzione libera di un elenco pubblicato da 
www.coalitionofresistance.org.uk (Broadsheet 3 Oct 2011)
che a mio avviso riassume bene la situazione sociale inglese. 
Striscione appeso durante lo sciopero del 14 set degli addetti alle pulizie presso la SOAS
 
L'Inghilterra dei milionari
- SPROPORZIONI: i milionari sono solo l'1% della popolazione 
mondiale ma possiedono il 39% della ricchezza globale;
- QUANTI: la Gran Bretagna è al quarto posto al mondo per
numero di milionari dichiarati dopo USA, Giappone e Cina;
- IN CRESCITA: negli ultimi due anni, durante la crisi, 
il numero di milionari in UK è cresciuto del 17% passando 
da 528.000 a 619.000;
- CONTROLLO DEL GOVERNO: dei 23 membri della coalizione
di governo 18 sono milionari;
- SENZA RISCHI: a seguito di investimenti sbagliati che hanno
portato l'economia sull'orlo del tracollo, i banchieri sono stati
salvati con soldi pubblici;
- EVASIONE: l'evasione fiscale ammonta a 120 milioni di sterline 
ogni anno. Molti tra i più ricchi in UK, come ad esempio il 
proprietario di Arcadia/Topshop Sir Philip Green, non pagano 
affatto le tasse.
 
L'Inghilterra popolare 
- DISUGUAGLIANZA: il tasso di disuguaglianza in UK è sempre
cresciuto negli ultimi anni ed è ora a livello degli Stati Uniti e
del Messico e molto più alto rispetto   alle altre economie europee
- POVERTÀ INFANTILE: 4 milioni di bambini crescono in condizioni 
di povertà, da 1 su 10 nel 1979 a 1 su 3 del 1998 e ad oggi è il
dato peggiore in Europa http://www.endchildpoverty.org.uk/;
- PENSIONATI: In UK il tasso di povertà tra i pensionati è tra i 
peggiori in Europa, con 2 milioni sotto la soglia di povertà (breadline)
e molti in condizioni di "fuel poverty" (definizione usata quando una 
persona spende più del 10% delle proprie entrate per il riscaldamento)
- SALARI: i redditi reali per i ceti medio bassi sono rimasti
sostanzialmente fermi dal 2001 dal momento che i banchieri e 
i ricchi sono diventati sempre più ricchi, dal 1975 al 2008 la 
percentuale dei salari sul PIL inglese è passato dal 64.5 al 53.2
- ALLOGGI: nel 1988 il 58% dei giovani delle ceti medio bassi 
possedeva una casa, nel 2008 solo il  29% 
- NON STUDIO NON LAVORO: il tasso di disoccupazione giovanile è
al 20.2%. A 200.000 giovani è stato negato l'accesso all'università, 
50.000 di questi con il  massimo dei voti.

domenica 4 settembre 2011

La cospirazione della NATO contro la Rivoluzione libica

Traduzione dal testo inglese dell'autore

di Gilbert Achcar
16 agosto 2011

In un editoriale pubblicato dal Wall Street Journal il 19 luglio scorso, Max Boot, autore noto per le sue posizioni neoconservatrici e storico militare fervente sostenitore delle campagne per l' "esportazione della democrazia" e del pieno coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra in Libia, ha scritto riferendosi a un articolo del Financial Times del 15 giugno, che metteva a confronto la campagna di bombardamenti aerei attuata in Libia e quella del 1999 in Kosovo per sottolineare la minor potenza di fuoco utilizzata nell'intervento in Libia. Boot ha commentato questo confronto dettagliato:

La guerra in Kosovo non è stata "Apocalypse Now", ma dopo 78 giorni, la NATO ha impiegato 1.100 aerei e effettuato 38.004 voli. Al contrario, in Libia, ha inviato solo 250 aerei e volato 11.107 volte. Non a caso, dopo 78 giorni Slobodan Milosevic rinunciò al Kosovo, mentre dopo 124 giorni e più, Gheddafi continua a non mollare il potere.

I paradossi libici della NATO
Durante l'operazione Desert Storm, la coalizione guidata dagli Usa contro l'Iraq nel 1991, in soli 11 giorni fece lo stesso numero di operazioni aeree effettuate in Libia in 78 giorni. Il numero totale in 43 giorni di Desert Storm raggiunse 109.876, una media di 2.555 al giorno. Dopo la devastazione causata da quella "tempesta" e i bombardamenti effettuati durante i 12 anni dell'embargo tra il1991 e il 2003, sono state necessarie 41.850 operazioni aeree durante le prime 4 settimane della cosiddetta Operazione Iraqi Freedom. Di queste, 15.825 sono state attacchi aerei, una media di 565 al giorno. Andrew Gilligan il 4 giugno ha scritto su The Spectator:

Nonostante i rituali annunci di un' "intensificazione" degli attacchi e di "bombardamenti ancora più pesanti", la potenza di fuoco è stata sempre relativamente leggera. Durante l'intera operazione, il numero totale di attacchi della Nato, non solo di quelli aerei, è stata in media di 57 al giorno, meno della metà di quelli realizzati da una coalizione simile nella missione in Kosovo, e una piccola parte di quello che fecero gli USA e la Gran Bretagna in Iraq.

Aggiungete a questo che ci vuole molta più pressione per costringere un dittatore ad abbandonare il potere che ad abbandonare una parte del suo territorio. Dal momento che la possibilità di Gheddafi di riprendere il controllo su Bengasi è prossima allo zero e che a questo punto sarebbe felice di sbarazzarsi della città ribelle e con essa dell'intera regione ad est di Ajdabiya, nel tentativo di salvare il trono di "Re dei re d'Africa" per il quale ha comprato generosamente alleati fedeli dal 2008. Ecco perché cosi tanto sforzo militare e violenza per cercare di conquistare Misurata, la città chiave in mano ai ribelli nella parte occidentale della Libia, che gli ha impedito di fatto la divisione in due del paese. Per questo gli insorti hanno resistito con ostinazione a Misurata, nonostante i violenti attacchi, anche se avevano la possibilità di essere evacuati via mare con il resto degli abitanti della città, come le migliaia di migranti e feriti che sono stati trasferiti dalla città in questo modo.

Le prime accuse di propaganda contro gli insorti, che sostenevano che il loro obiettivo fosse la spartizione del paese, sono state completamente smentite dalla loro ostinazione nella lotta per la liberazione di tutto il territorio del paese dalla dittatura di Gheddafi. Questo sta avvenendo nonostante il costo molto alto pagato a causa della sproporzione tra la loro forza di terra e quella del regime, una sproporzione nei veicoli blindati, artiglieria, missili, e combattenti addestrati che è solo parzialmente compensata dall'intervento della NATO. Molti corrispondenti militari dai vari fronti di guerra sottolineano come i ribelli siano male armati, poco addestrati, dilettanteschi e disorganizzati, ma anche la dedizione sorprendente di un gran numero di civili divenuti combattenti per la liberazione del loro paese. Questa dedizione spiega la determinazione dei ribelli nel continuare a combattere questa lotta impari, contro le forze ben equipaggiate, ben addestrate e ben pagate dal regime di Gheddafi.

Le domande cruciali sono allora: perché la NATO sta conducendo una campagna aerea di basso profilo in Libia, non solo rispetto all'altrettanto ricco di petrolio Iraq, ma anche rispetto all' economicamente irrilevante Kosovo? E perché l'Alleanza, allo stesso tempo non rifornisce i ribelli delle armi che hanno sempre e insistentemente richiesto? Di fronte a questo ci sono due paradossi enormi in gioco.

Il primo paradosso è che sia in Iraq e in Afghanistan, le guerre a guida Usa hanno puntato sulla "nazionalizzazione" del conflitto (nello spirito della "vietnamizzazione" che ha preceduto il ritiro degli Stati Uniti nel 1973). In Libia, nonostante le forze locali chiedano rifornimenti di armi di cui hanno bisogno, assicurando che con un armamento adeguato potrebbero ottenere molto presto la liberazione del paese, assistiamo al rifiuto da parte della NATO, un fatto che la modesta consegna di armi da parte della Francia sul fronte occidentale non altera in modo sostanziale.

Questo nonostante il fatto che, contrariamente agli afghani, gli insorti sono disposti e potenzialmente in grado di pagare qualsiasi fornitura di armi. Come tutti sanno, non è nella tradizione dei mercanti di morte occidentali, storcere il naso di fronte a una così succulenta opportunità. Tutti hanno gareggiato nel vendere armi a Gheddafi negli ultimi anni, tanto da riuscire a stringere accordi con lui per quasi un miliardo di dollari tra la fine del 2004, quando i loro governi hanno tolto l'embargo sulla Libia, e la fine del 2009. Ciò ha incluso le bombe a grappolo, vendute da una società spagnola, che Gheddafi non ha esitato a usare contro il suo popolo.
 
Il logico corollario del rifiuto della Nato di armare gli insorti avrebbe dovuto essere quello di condurre una campagna aerea molto intensa per compensare la debolezza sul terreno di quelli che intende sostenere. Eppure il secondo paradosso della NATO in Libia è che la campagna aerea impallidisce se confrontta con quella in Kosovo, per non parlare di quelle in Iraq o Afghnistan. Questo fatto è molto sentito dalla guerriglia libica, come i corrispondenti occidentali hanno riferito fin dai primi giorni della guerra aerea della NATO. Come C.J. Chivers scrisse il 24 luglio sul  blog del New York Times "At War", la frustrazione dei ribelli è cresciuta sempre di più:

Una delle cose più frequenti dai reportage dal fronte a fianco dei combattenti libici è la sensazione di netta separazione tra ciò che si dice della campagna di bombardamenti NATO da parte dei combattenti sul campo e le dichiarazioni dei funzionari del Consiglio Nazionale di Transizione [CNT], de facto l'autorità dei ribelli. Ufficialmente, la leadership dei ribelli non può non ringraziare i piloti che volano sopra le loro teste. Le figure politiche del CNT si danno a dichiarazioni formali a pieno sostegno e di gratitudine per il lavoro della NATO, i cui leader sono restii ad offendere.

Quelli più vicini alla battaglia o che vivono in pericolo, tuttavia, hanno opinioni più sfaccettate. Anche loro esprimono gratitudine per il lavoro svolto dalla NATO all'inizio, quando le forze del colonnello libico Muammar Gheddafi sono state fermate dai raid aerei evitando l'annientamento della rivolta di Bengasi. Ma esprimono anche una profonda e, talvolta, angosciante frustrazione per la lentezza e per l'individuazione degli obiettivi da parte del supporto aereo, e parlano spesso della NATO come qualcosa di lento e di incompetente.

Potrebbe essere che la NATO, che ha tranquillamente ignorato il Consiglio di Sicurezza dell'ONU (UNSC), durante la guerra aerea contro il regime serbo di Milosevic nel 1999, improvvisamente si sia convertita al rispetto dello stato di diritto negli affari internazionali? Difficile. Allora può essere che la NATO si senta in dovere di attenersi alla lettera alla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell'ONU, che ha autorizzato la campagna aerea in Libia? Solo uno sciocco potrebbe crederci.

Tale risoluzione è stata ampiamente violata sia formalmente che sostanzialmente   dalla campagna della NATO, che è andata ben oltre "tutte le misure necessarie ... per proteggere i civili e le aree popolate da civili sotto minaccia di attacco." Questo  ha incluso diversi raid su Tripoli e altre zone controllate dal regime, che hanno aumentato il rischio e l'entità dei "danni collaterali" che la NATO infligge ai civili che ha la pretesa di proteggere.

Manifesto a piazza Tahrir a Bengasi: "No all'intervento straniero nel nostro paese, Si alle armi ai ribelli"; Foto dal blog di Dima Khatib
"L'attuazione rigorosa dell'embargo sulle armi", come richiesto nella risoluzione del Consiglio di Sicurezza non è sicuramente ciò che sta impedendo alle potenze della NATO di armare la ribellione. Se avessero avuto questa intenzione, neppure i veti di Mosca e Pechino lo avrebbero impedito, come è successo nei Balcani nel 1999 e di nuovo in Iraq nel 2003. Allo stesso modo se la NATO non interviene sul terreno, questo non è sicuramente per il rispetto della risoluzione del Consiglio di Sicurezza che esclude l'impiego di "una forza di occupazione straniera di qualsiasi tipo su qualsiasi parte del territorio libico." Ma è soprattutto perché gli stessi ribelli sono stati irremovibili sul rifiuto di un intervento di terra.

Un cartellone a Bengasi a piazza Tahrir, di cui si può vedere la foto sul blog della giornalista palestinese Dima Khatib, spiega acutamente: "No all'intervento straniero sulla nostra terra, Sì alle armi ai ribelli."


Una diffidenza reciproca
La diffidenza è sicuramente reciproca. In pratica l'atteggiamento delle potenze occidentali verso i ribelli libici è completamente diverso rispetto a quello tenuto nei confronti dell'UCK in Kosovo prima e durante la guerra del 1999, o nei confronti dell'Alleanza del Nord prima e durante i bombardamenti in Afghanistan a partire dall'ottobre 2001. Lo conferma la continua enfasi islamofoba dei media occidentali sul ruolo degli islamisti nella ribellione libica, utilizzato come pretesto per non armare i ribelli, e il confronto con il loro comppiacimento per la presenza di gruppi simili tra le forze kosovare, per non menzionare il fatto che l'Alleanza del Nord afghana (il cui vero nome è Fronte Islamico Unito per la Salvezza dell'Afghanistan) è composta per la maggior parte da gruppi che sostengono il fondamentalismo e che sono solo leggermente meno estremisti nei toni rispetto ai talebani. I media occidentali denunciano ipocritamente il fondamentalismo islamico solo quando è anti-occidentale e restano invece molto cauti sullo stato più fondamentalista del mondo e il principale sostenitore mondiale dei gruppi più reazionari del fondamentalismo islamico, cioè il regno Saudita.

I media occidentali non si sono mai preoccupati per l'eterogeneità delle forze afghane raggruppate nella Alleanza del Nord, al quale si affidò il potere in Afghanistan. Eppure nel 1992, dopo aver sconfitto il regime di Najibullah, che era stato appoggiato da Mosca fino al crollo dell'Unione Sovietica l'anno precedente, i componenti stessi della Alleanza del Nord avevano trasformato l'Afghanistan in un immenso e caotico campo di battaglia in un hobbesiana "guerra di tutti contro tutti. Lo "Stato Islamico dell'Afghanistan" provocò uno spargimento di sangue tale che i talebani riuscirono a vincere abbastanza facilmente nel 1996. Naturalmente, nessuna di queste preoccupazioni inquietarono Washington quando decise di rovesciare i talebani con l'azione congiunta delle truppe dell'Alleanza del Nord e con una media di 85 atacchi aerei al giorno per 76 giorni dall'inizio delle operazioni a ottobre fino al 23 dicembre 2001, ovvero il 50 per cento in più rispetto alla media di attacchi in Libia.

Il carattere paradossale dell'intervento occidentale in Libia è stato sottolineato da diversi osservatori, che ne hanno individuato la causa attorno al problema di assicurarsi il controllo delle risorse nel dopo-Gheddafi. Molti simpatizzanti dell'insurrezione libica, alcuni di loro, me compreso, che avevano espresso comprensione per il fatto che Bengasi avesse chiesto aiuto al "diavolo" di fronte a un massacro annunciato, avvisarono i ribelli fin dal primo giorno contro la raffigurazione "angelica" di questo "diavolo" in quella occasione, non facendosi illusioni sulle reali motivazioni delle potenze occidentali. Questi primi sospetti furono presto confermati dall'evoluzione della situazione in Libia, al punto che ora c'è la convinzione diffusa nei circoli arabi antioccidentale che la NATO stia deliberatamente prolungando la guerra e, quindi, l'esistenza del regime di Gheddafi. Questa convinzione è chiaramente articolata da Munir Shafiq, ex leader di un corrente maoista di Fatah di Yasser Arafat e coordinatore del Congresso Nazionalista Islamico, organizzazione che comprende una serie di gruppi, tra cui i Fratelli Musulmani, Hamas e Hezbollah, in un articolo in arabo pubblicato da Aljazeera.net il 4 luglio:

Non si capisce perché gli attacchi aerei della NATO si concentrino su obiettivi insignificanti a Tripoli, tralasciando le batterie di missili, l'artiglieria e i mezzi militari a Misurata così come in altre città. Hanno anche permesso alle colonne delle forze di Gheddafi di muoversi allo scoperto, senza attaccarli. Dov'è allora la protezione dei civili, e dove è il supporto per sbarazzarsi di Gheddafi?

La Posizione degli Stati Uniti e della NATO è in flagrante cospirazione contro la rivoluzione popolare in Libia e punta al mantenimento di Gheddafi fino a quando non riusciranno a prendere il controllo del CNT e di alcuni leader sul campo. Solo allora rovescerebbero Gheddafi, poiché stanno cospirando contro il popolo, la rivoluzione e il futuro della Libia.

Questo forte sospetto riecheggia nelle opinioni espresse dai i ribelli libici stessi, come dimostra la dichiarazione del 2 giugno scorso di uno dei loro leader locali per il quotidiano di Beirut al-Akhbar:

Secondo Abu-Bakr al-Farjani, il portavoce del consiglio locale della città di Sirte, che aderisce al CNT, la NATO sta procedendo lentamente con le sue operazioni militari contro le brigate di Gheddafi al fine di mantenerlo per quanto possibile al potere in modo da aumentare così il prezzo richiesto agli oppositori dalle potenze mondiali e dalle grandi aziende che stanno dietro di loro.

I piani della NATO per la Libia
Queste non sono invenzioni fantasmagoriche dovute a qualche propensione   medioorientale alle teorie della cospirazione. Corrispondono a fatti reali sul campo, come la differenza di attacchi NATO in Libia analizzata da Tom Dale nel "Guardian" on line del 4 luglio. E soprattutto corrispondono a un fin troppo vero "complotto" da parte delle potenze della NATO sul futuro della Libia. Il piano è stato rivelato da Andrew Mitchell, Segretario inglese per lo Sviluppo Internazionale, il 28 giugno: un "documento di stabilizzazione" di 50 pagine ideato da un "team per la stabilizzazione" internazionale che include la Turchia e guidato dalla Gran Bretagna, prospetta uno scenario post-Gheddafi che parte dalle dimissioni o dalla rimozione del "re dei re". Questo perché, nonostante i ripetuti tentativi occidentali di convincere il CNT a trovare un accordo con Gheddafi, come è stato fatto trapelare ai media negli ultimi mesi, il CNT ha chiarito che la rimozione dal potere di Gheddafi e dei suoi figli era una condizione non negoziabile per i ribelli libici. Anche la prospettiva di dare un comodo ritiro a Gheddafi in Libia, che è stato in un primo momento timidamente proposto dal CNT sotto pressione occidentale, è stata subito ritirata a causa delle proteste della base dei ribelli.

Un protagonista chiave dei tentativi occidentali di siglare un accordo con la cerchia di Gheddafi è suo figlio, Saif al-Islam, l'uomo che si è comprato una laurea, su società civile e democratizzazione, presso la London School of Economics e ha ottenuto le visite e i consigli di Richard Perle, Anthony Giddens, Francis Fukuyama, Bernard Lewis, Benjamin Barber e Joseph Nye, tra gli altri, al fine di "rafforzare l'immagine della Libia e di Muammar Gheddafi". Saif ha detto al quotidiano algerino Al-Khabar l'11 luglio, in arabo, che il governo francese, nonostante la sua posizione ufficiale in Libia, ha negoziato con Tripoli:

Stiamo tenendo ora trattative con Parigi, abbiamo contatti con la Francia. I francesi ci hanno detto che il CNT è subordinato a loro, ci hanno anche detto che se avessero raggiunto un accordo con noi a Tripoli, avrebbero potuto imporre un cessate il fuoco al consiglio. ... Io dico che se la Francia vuole vendere i suoi aerei "Rafale", se vogliono concludere accordi petroliferi, se vogliono che le loro imprese tornino, hanno bisogno di parlare con il legittimo governo libico e con il popolo libico, in modo pacifico e ufficiale. 


Il Re dei re, da parte sua, non mostra alcuna inenzione di mollare. Il 23 luglio ha ripetuto le sue dure accuse contro il popolo tunisino ed egiziano per aver rovesciato i loro dittatori. In ogni caso, il progetto della NATO a guida inglese si basa sullo scenario di un "cessate il fuoco tra il regime ed i ribelli", il che significa che la gerarchia e gli apparati del regime resterebbero in piedi.

La preoccupazione generale su cui si basa la roadmap della NATO sotto guida inglese è quella di evitare il ripetersi della gestione catastrofica della fase post-invasione in Iraq. In quel caso l'amministrazione Bush aveva dovuto scegliere tra l'inclusione di gran parte di quel che rimaneva del partito baathista e il suo completo smantellamento. Ha optato per la seconda opzione sostenuta da Ahmed Chalabi e i neocons con il loro balordo progetto di stato minimalista a servizio americano. Di conseguenza, la nuova roadmap libica si ispira allo strategia proposta dalla CIA e che è stata scartata in Iraq. Come spiega Mitchell, si basa sulla "raccomandazione che la Libia non dovrebbe seguire l'esempio iracheno di sciogliere l'esercito, che è stato visto da alcuni funzionari, come un errore strategico che ha contribuito ad alimentare l'insurrezione in circostanze delicate dopo la caduta di Saddam Hussein."

Questa stessa preoccupazione è stata espressa sul CNT dal ministro degli esteri britannico William Hague il giorno dopo la sua visita a Bengasi il 5 giugno. "No alla de-baathificazione, certamente i ribelli stanno imparando da quella", ha detto."Devono farlo sapere in modo più efficace per poter convincere i membri del vecchio regime che questo potrebbe funzionare." La stessa preoccupazione si nota nell'atteggiamento delle potenze occidentali verso lo sconvolgimento rivoluzionario in Siria. La loro influenza in Libia comunque è molto più potente.

La rappresentazione di Mitchell del "forte contributo" che le potenze della NATO e i loro alleati possano dare nella gestione della Libia post-Gheddafi, per quanto sia pragmatica è al limite del ridicolo:

L'UE, la NATO e l'ONU controllerebbero le questioni di sicurezza e giustizia, Australia, Turchia e Onu si occuperebbero dei servizi di base, Turchia, Stati Uniti e le istituzioni finanziarie internazionali amministrerebbero l'economia. 


Ma aggiunge Mitchell:
"E' fondamentale che tutto questo processo sia libico. Deve essere inteso come un servizio al popolo libico ".

Questo piano A non può non avere un piano B, che lascia intendere la mancanza di fiducia delle potenze occidentali nelle probabilità di una "transizione ordinata" (per prendere in prestito una definizione ripetuta come un mantra per l'Egitto da parte dell'amministrazione Obama) del post-Gheddafi. Commentando il piano NATO-UK, il Wall Street Journal ha rivelato il 29 giugno che i funzionari delle Nazioni Unite stanno preparando "i piani di emergenza", tra cui "il dispiegamento di una forza armata multinazionale", che "sarebbe probabilmente composta da truppe provenienti da potenze regionali come Turchia, la Giordania e forse dell'Unione Africana. "Uno dei fautori di questo intervento è ovviamente uno dei leader occidentali più ostili ai ribelli libici, il generale Carter Ham, comandante americano dell'Africa Command (AFRICOM). Condivide questo atteggiamento con l'esercito algerino al quale ha fatto visita ai primi di giugno, mettendo in guardia contro il rischio che le armi che circolano in Libia potrebbero cadere nelle mani di al-Qaeda. (Un altro fattore che provoca l'ostilità di Algeri è probabilmente l'emancipazione degli Amazigh nella Libia occidentale.)

Non ci è voluto molto perché il CNT si adeguasse alle istruzioni della NATO e producesse la propria versione della roadmap della NATO, in modo da soddisfare l'ossessione occidentale dell' "esempio iracheno". Una copia di queste 70 pagine del progetto libico è trapelata dal Times di Londra, che l'8 agosto ne ha pubblicato una sintesi. Esso contiene in modo poco credibile cifre così dettagliate che non si può non sospettare che i suoi autori abbiano cercato di compiacere i loro padroni   della NATO:

Essa sostiene che 800 funzionari della sicurezza del governo di Gheddafi sono stati reclutati segretamente dai ribelli e sono pronti per costituire l'ossatura del nuovo apparato di sicurezza. ... I documenti affermano che i gruppi ribelli a Tripoli e nelle zone circostanti contano 8660 sostenitori, tra cui 3255 nell'esercito Gheddafi. Una defezione di massa da parte degli ufficiali di alto rango viene considerata altamente probabile, si stima che il 70 per cento degli ufficiali sostengano il regime solo per timore di ritorsioni.

Il dissenso dela base
Il commento del Times dimostra scetticismo sullo scenario di cooptazione del regime proposto dal CNT: "Questo non è solo rischioso, ma anche controverso, con molti combattenti ribelli determinati a spazzare via tutto del vecchio regime."

Mentre il Wall Street Journal, commentando la roadmap inglese, faceva notare:


Molte delle brigate di ribelli sono diventate milizie, alcune delle quali non accetterebbero mai di prendere ordini o di combattere assieme a coloro che detenevano posizioni militari o di sicurezza nel regime di Gheddafi e che successivamente hanno cambiato bandiera per unirsi alla ribellione scoppiata nel mese di febbraio. Alcuni influenti leader dei ribelli hanno chiesto di escludere i lealisti del vecchio regime da qualsiasi istituzione futura e di dare priorità a coloro che hanno combattuto contro Gheddafi.

La determinazione dei ribelli nel fare pulizia di coloro che hanno combattuto al fianco di Gheddafi contro l'insurrezione è in realtà la chiave per comprendere il comportamento paradossale della NATO di cui si scriveva sopra. Le potenze della NATO non vogliono che i ribelli liberino Tripoli con i propri mezzi, come l'Economist di Londra ha dichiarato senza mezzi termini il 16 giugno:

La speranza dei governi occidentali è che i ribelli non conquistino Tripoli dopo una veloce avanzata da est, con conseguenti rischi di punizioni inflitte lungo il percorso ai fedelissimi di Gheddafi. Piuttosto, preferiscono che il regime imploda sal suo interno e per la spinta della popolazione di Tripoli fino a rimuovere il colonnello, un'eventualità che secondo i governi occidentali è sempre più vicina.

Tom Dale ha commentato questa preferenza della NATO per un' "implosione
dall'interno":

Ma perché le potenze occidentali preferiscono un colpo di stato da parte di qualcuno della cerchia di Gheddafi alla vittoria da parte dell'esercito ribelle? Un colpo di stato implicherebbe una soluzione negoziata tra gli elementi del vecchio regime restanti e la leadership dei ribelli, che incorporerebbe molte figure del regime deposto. I governi occidentali vogliono la stabilità e la possibilità di influenzare le scelte del nuovo governo e vedono le figure del vecchio regime, ad esclusione della famiglia Gheddafi, come i migliori garanti di questo.

Questa ultima affermazione va spiegata. Prendiamo il Gen. Abdul-Fattah Younis, una delle figure chiave del regime di Gheddafi, che passò tra i ribelli dopo pochi giorni dall'inizio della rivolta, per esempio. Un comandante militare della rivolta libica che è stato recentemente assassinato, era stato critico nei confronti delle operazioni della NATO. E ha sviluppato un rapporto molto antagonistico con il referente della CIA, il colonnello Khalifa Haftar (a volte scritto Hifter) che, dopo aver vissuto in esilio per quasi un quarto di secolo, per lo più negli Stati Uniti e sul libro paga della CIA, è stato inviato in Libia e a cui è stata assegnata un'alta carica della gerarchia militare dal CNT sotto la pressione di Washington. L'uomo era detestato da molti nell'opposizione libica. Come il giornalista bengalese Shashank ha spiegato sul Real News Network lo scorso 14 aprile):

C'è una certa preoccupazione qui su Hifter, i suoi lunghi trascorsi negli Stati Uniti, i suoi presunti legami con la CIA e altri funzionari statunitensi, lo rendono una figura al quanto controversa per i libici, che credono davvero che questa sia una rivolta spontanea. Vogliono il sostegno estero sottoforma di armmaenti e di riconoscimento del governo di transizione. Non vogliono che questa ribellione venga sopraffatta da una forza esterna come la CIA.

L'ostilità tra Younis e Haftar ha portato alcuni a credere che l'assassinio del primo sia stato progettato dalla Cia in modo da spianare la strada per il secondo. Tuttavia, Younis non è stato sostituito da Haftar ma da un altro disertore della prima ora, il generale Suleiman Mahmoud, comandante della provincia orientale con sede a Tobruk prima della sua defezione. In realtà, le condizioni non sembrano essere favorevoli agli uomini che hanno più collegamenti con gli stranieri, come commenta lo scioglimento del gabinetto provvisorio del CNT a seguito dell' assassinio di Younis:


La sostituzione sembrava anche far emergere una lotta tra i gruppi interni al movimento dei ribelli, tra cui i leader rimasti in patria che hanno contribuito a iniziare la rivolta, per affermare il loro potere e mettere da parte quelli che erano tornati dall'esilio e che ricoprivano posti chiave. Per mesi, c'erano state proteste per il fatto che i membri del consiglio erano sconosciuti alla maggior parte dei libici, avendo passato gran parte del loro tempo all'estero, soprattutto in Qatar, il paese che ha appoggiato di più i ribelli.

Un portavoce dei ribelli ha detto che il signor [Mahmoud] Jibril, l'economista neoliberista nominato dal CNT capo-gabinetto, dopo aver presieduto le riforme neoliberiste del regime di Gheddafi dal 2007 fino alla rivolta, che raramente è stato visto a Bengasi, dovrebbe iniziare a passare più tempo in Libia.

Una spiegazione plausibile dell'assassinio di Abdul-Fattah Younis è stata data dal suo collaboratore, Mohammed Agoury, che ha attribuito l'uccisione ai membri della Brigata dei Martiri del 17 Febbraio. (Secondo un'altra fonte, gli autori appartengono a un gruppo islamico che si fa chiamare Brigata Abu Ubaidah Ibn al-Jarrah.) La testimonianza di Agoury offre uno scorcio della complessa ed eterogenea composizione della ribellione libica:

La Brigata dei Martiri del 17 Febbraio è un gruppo composto da centinaia di civili che hanno preso le armi per unirsi alla ribellione. I loro combattenti partecipano in prima linea alle battaglie con le forze di Gheddafi, ma agiscono anche come una forza semi-ufficiale di sicurezza interna all'opposizione. Alcuni dei suoi leader provengono dal Gruppo Combattente Islamico Libico, un gruppo islamico militante che condusse una violenta campagna contro il regime di Gheddafi nel 1990. ... "Non si fidano di nessuno che sia stato con il regime di Gheddafi, hanno voluto vendicarsi", ha detto Agoury. 


Un altro evento che mostra l'eterogeneità nei ranghi dell'opposizione è la "Conferenza per il Dialogo Nazionale", tenutasi a Bengasi il 28 luglio. Vi hanno preso parte 350 partecipanti tra cui membri della stessa Brigata dei Martiri 17 Febbraio ed ex membri del gruppo libico dei Fratelli Musulmani, anche se la stessa Fratellanza ha negato qualsiasi collegamento con la conferenza. I partecipanti hanno sottolineato l'importanza dell'unità della Libia, del suo carattere islamico e della necessità di un dialogo nazionale includente, mentre un membro del CNT, Al-Amin Belhaj, ha dichiarato che, sebbene Gheddafi e i suoi figli non potevano rimanere al potere, avrebbero potuto rimanere in Libia sotto protezione. A quanto pare, alcuni dei partecipanti hanno avuto contatti con Saif al-Islam Gheddafi, un fatto che si sposa bene con le recenti dichiarazioni di quest'ultimo per il New York Times.

"Ho liberato [degli islamisti libici] dal carcere, li conosco personalmente, sono miei amici", ha detto, anche se ha aggiunto di considerare il loro rilascio "certamente un errore" a causa del loro ruolo nella rivolta.

Una manifestazione ha subito avuto luogo fuori dall'hotel dove si svolgeva la conferenza. Un servizio di Aljazeera.net mostra un giovane con un cartello che dice a nome della Gioventù della Rivoluzione del 17 Febbraio: "La Conferenza nazionale rappresenta solo se stessa." I manifestanti hanno ribadito il loro rifiuto a qualsiasi dialogo con Saif al-Islam ei suoi collaboratori. Hanno accusato gli organizzatori della conferenza di ricorrere a milizie al fine di prendere il potere prima che la liberazione della Libia sia stata completata.

Naima Djibril, giurista e membro del "Comitato per il Sostegno della Partecipazione delle Donne ai processi decisionali" di Bengasi, ha denunciato via web l'esclusione delle donne dalla conferenza.

Ulteriori dettagli del progetto del CNT, come riportato dal Wall Street Journal il 12 agosto, mostrano una rassicurante conferma della complessità della situazione libica e indica la via per affrontarla in modo democratico:

Il piano riconosce che la leadership di Bengasi non ha ancora il sostegno ufficiale da parte delle regioni ancora sotto il controllo del colonnello Gheddafi e definisce un programma per definire i 25 posti vacanti destinati a rappresentare tali zone sul totale di 65. Secondo il piano, gli attuali membri del consiglio sarebbero esclusi dai primi due turni delle elezioni nazionali e non potrebbero accettare nomine politiche in quei governi .... Secondo il documento, un Consiglio Nazionale di Transizione allargato, comprensivo dei nuovi rappresentanti delle aree ancora sotto il controllo di Gheddafi, governerà per otto mesi dopo la caduta di colonnello Gheddafi, durante i quali si svolgeranno le elezioni di un'assemblea costituente e si sceglieranno i 200 membri ad interim del prlamento. La rappresentatività di ogni distretto nel parlamento sarebbe garantita sulla base di un censimento della popolazione del 2010. Il parlamento dovrebbe governare per un periodo transitorio di meno di un anno, durante il quale si voterebbe per la nuova costituzione con un referendum nazionale e il nuovo governo permanente della Libia verrebbe eletto in linea con i parametri stabiliti da tale costituzione.

Si può solo sperare che la realtà rispetti il programma. Ma le probabilità che tutto fili liscio sono poche, considerato il groviglio straordinario di forze tribali, etniche e politiche che costituiscono la società libica che è appena uscita da più di quattro decenni di uno dei più folli regimi dittatoriali della storia moderna. La costituzione provvisoria di recente pubblicazione sulla base del suddetto progetto viene già contestata a Bengasi, e il CNT è accusato di lavorare a porte chiuse. La differenza fondamentale tra il tumulto politico libico e la situazione in Egitto è che l'opposizione e il regime sono territorialmente separate in Libia, e che la famiglia regnante al Cairo è stata respinta, mentre a Tripoli ancora no. Come in Egitto, infuria la battaglia politica tra i vari gruppi di opposizione, alcuni di loro, soprattutto tra le forze islamiche, disposti al compromesso con le istituzioni del regime, mentre
altri, soprattutto tra i giovani che rifiutano questa prospettiva e vogliono una trasformazione radicale del loro paese. Un'altra grande differenza è l'assenza in Libia del ruolo del movimento operaio, che è invece molto importante nel processo egiziano. (Anche se, Kamal Abu Aita, il presidente della nuova Federazione egiziana di sindacati indipendenti, mi ha detto che una federazione indipendente analoga è stata recentemente fondata a Bengasi.)

La situazione in Libia, come in Tunisia e in Egitto e tutti gli altri paesi del Medio Oriente, dove l'attuale processo rivoluzionario si sta svolgendo, è solo all'inizio di uno sviluppo lungo e tumultuoso. Questo è il normale corso di ogni processo rivoluzionario. Le potenze occidentali avranno molte difficoltà a mantenere sotto controllo questo processo. Non hanno truppe sul terreno, per non parlare del fatto che non sono riuscite comunque a controllare la situazione neppure nei paesi in cui avevano impiegato le truppe di terra, come in Iraq e Afghanistan. Il processo di liberazione e di autodeterminazione dei popoli è tortuoso e può anche attraversare brutti periodi. Ma senza questi processi e la disponibilità a pagarne il prezzo, che può rivelarsi molto pesante, il mondo intero vivrebbe ancora sotto regimi assolutistici.


BREVE TEORIA DELLA CRISI ATTUALE di H. Ticktin



Anche se molti altri economisti pensano che la crisi attuale sia ciclica e non strutturale, come invece sostiene Ticktin, mi sono avventurato nella traduzione di questo articolo che comunque contiene diversi spunti interessanti.


dal sito Movimento Operaio


Sommario

- Premessa: il punto di svolta

- L'analisi

- Le cause della crisi

- La situazione oggi

- Il concetto di 'capitalismo finanziario'



Questo articolo riassume e sviluppa argomenti già trattati in articoli scritti per la rivista "Critique" e per "Critique Notes". Ho omesso due questioni già discusse in quella sede; le argomentazioni contro la teoria della caduta del saggio di profitto [NdT_1] come causa unica o principale della crisi e la questione sul perché la classe dirigente abbia optato per le politiche di austerità. [NdA_1]

La teoria marxista della crisi ha languito dalla seconda guerra mondiale ad oggi, in gran parte perché non c'è mai stata una vera e propria crisi fino ad ora. Come noto, Marx scrisse: "La crisi del commercio mondiale deve essere considerata come il punto di congiunzione e di aggiustamento forzato di tutte le contraddizioni dell'economia borghese." [NdA_2]

Oggi invece siamo in presenza, non di una crisi ciclica di flessione-ripresa, bensì di una crisi reale e strutturale del sistema stesso. Le prime infatti si sono verificate spesso dal secondo dopoguerra ad oggi; le più recenti negli anni 1981-85 e 1989-93 seguite dal crollo delle cosiddette dot.com nel marzo 2000.

L'ultima di queste crisi, però, è stata diversa perché la ripresa successiva è stata molto limitata, e fortemente influenzata dagli attentati dell'11 Settembre e dalle guerre che sono seguite. La crisi del 2007 è di fatto la sua continuazione. Ma la differenza tra le crisi precedenti e quella del periodo 2000/2007 non è solo nella durata, nella profondità o nella sua portata globale.

La differenza fondamentale sta nel cambiamento a lungo termine dei rapporti di forza tra le classi sociali, con livelli molto alti di disoccupazione di lunga durata, attacchi diretti al tenore di vita della classe lavoratrice, attraverso il mercato immobiliare, le tasse, i salari e la riduzione del welfare. In Gran Bretagna l'attacco è stato totale. In Irlanda e Grecia non è solo stato totale, ma continuato.

Stiamo attraversando un periodo in cui le contraddizioni dell'economia capitalista stanno esplodendo, dopo essere state mediate per decenni dalla guerra fredda e più recentemente dal capitale finanziario.

Storicamente, il capitalismo dalla fine del 19esimo secolo ha utilizzato prima l'imperialismo e il capitale finanziario poi la guerra, la repressione e il fascismo, successivamente lo stalinismo e la Guerra Fredda, assieme al welfare state - e infine, il ritorno al capitale finanziario - come strategie per il contenimento delle forze che aspiravano al superamento del capitalismo come sistema economico.

Credo che queste strategie siano state abbandonate o siano implose, costringendo la borghesia a tornare alle forme classiche del capitalismo.

Premessa: il punto di svolta

Il punto di svolta decisivo è venuto negli anni settanta, quando fu chiaro che lo stato sociale e la piena occupazione stavano rendendo instabile il sistema. I lavoratori con contratti stabili e salari crescenti stavano chiedendo un maggior controllo sul proprio lavoro e sulla società. Dal momento che i lavoratori erano maggioranza nella società, anche la borghesia capì che non potevano essere tenuti nelle misere condizioni previste dai fondamenti del capitalismo. A parte l'uso della forza - che normalmente è rimasto in secondo piano almeno fino a quando il sistema non veniva minacciato direttamente - il capitale, per rafforzarsi, ha usato ideologicamente e praticamente, la forma del feticismo delle merci ("consumismo"), come mezzo di controllo diretto.

Il ruolo crescente nell'organizzazione dell'economia da parte dei governi e delle multinazionali ha sfatato il mito che il mercato non potesse essere sapientemente controllato. Allo stesso tempo, si è visto che il settore pubblico e lo stato sociale non potevano essere organizzati solo sulla base del profitto. Il tentativo di gestire l'istruzione, la sanità, le carceri, con l'obiettivo di fare profitti, non ha funzionato. Questo è rimasto vero nonostante le alternative fossero spesso troppo burocratizzate e mal gestite.

Gli Stati uniti si sono discostati dall'Europa occidentale, nell'avere uno stato sociale più debole e nel minor peso del settore pubblico, ma la differenza è stata solo di grado.

Il ruolo dell'enorme settore militare, che è in sostanza un settore nazionalizzato dell'economia, che esternalizza gran parte della sua produzione, insieme ad un sistema sanitario, controllato dalle compagnie di assicurazione, ha svolto gran parte delle funzioni svolte dai governi nelle economie capitaliste controllate.

Il ruolo della Federal Reserve e del Tesoro è stato fondamentale dall'inizio della crisi. La rabbia mostrata contro queste due istituzioni fa capire come il capitale non può evitare di essere consapevolmente preso di mira oggi.

Non sorprende in questo contesto che la borghesia abbia cercato di riportare indietro l'orologio attraverso l'allargamento dei mercati. Una seconda forma utilizzata per riottenere il controllo dei lavoratori è stata quella del ripristino dell'esercito industriale di riserva, come lo ha chiamato Marx, che non esisteva più dagli anni del dopoguerra almeno nell'Europa occidentale. Il ritorno della disoccupazione di massa è stato un processo difficile, ma essenziale per il ripristino della stabilità del sistema capitalista.

Dagli anni '60 e '70, per tornare al punto iniziale, la classe lavoratrice stava chiedendo concessioni e un maggior controllo sulle aziende e sull'economia. Paese dopo paese ci furono scioperi e manifestazioni che portarono il capitale a rivedere la sua strategia del dopoguerra. Il capitalismo ha adottato una serie di misure, cosidette "neoliberiste", che possono essere meglio comprese se messe in relazione alla svolta verso il capitalismo finanziario.

L'analisi


I riferimenti di Marx alle contraddizioni dell'economia e della società capitalista forniscono un buon punto di partenza per qualsiasi analisi della crisi, ma sono particolarmente rilevanti in questo momento. È stato Trotsky a sostenere che tutti noi viviamo in un periodo di transizione tra il capitalismo e socialismo. Ciò non significa che ci siano sistemi realmente socialisti, ma che i sistemi capitalistici sono sempre in fase di cambiamento rapido e incontrollabile, che il capitale cerca in tutti i modi di mantenere.

In altre parole, la crescita della pianificazione dell'economia e della società da parte dei governi, le grandi corporations, i monopoli, il ruolo crescente delle compagnie di assicurazione e del settore pubblico riflettono la crescente socializzazione della economia e della società, ma in un quadro frammentario del sistema capitalista.

L'effetto è che il dominio del profitto (il "libero mercato" guidato dal profitto) è limitato nel suo raggio di azione e che le decisioni politiche sono spesso più importanti. Il Capitale però ha cercato di far tornare indietro la storia. Si parla all'infinito di piccole e medie imprese (NdT_2) e della cosiddetta classe media. Si cerca di privatizzare tutto il possibile e anche l'impossibile. Ma il problema è che queste misure non hanno l'effetto desiderato: il ceto medio è sempre più spremuto e proletarizzato, le piccole imprese sono controllate dal grande affare, la loro indipendenza è illusoria e la privatizzazione è limitata dalle regole dei governi.

Da questo punto di vista, il passaggio al dominio del capitale finanziario si è manifestata sotto forma di una serie di bolle, seguite da una grande bolla che infine è implosa su se stessa.

La realtà è che quella bolla era solo una tattica per ritardare l'inevitabile crisi. Alan Greenspan non si era sbagliato, aveva capito che aumentare troppo presto i tassi di interesse avrebbe stroncato la ripresa negli anni '90 e dei primi anni del nuovo secolo.

Così i capitali vennero spostati dall'industria alla finanza. Alcuni vennero esportati, generano ad esempio la bolla asiatica del 1997, ma la maggior parte fu utilizzata per le speculazioni.

I Leverage buyouts [NdT_3] trasformati in quote societarie (private equity), mutui rivenduti come obbligazioni (CDO: Collateralized Debt Obligations) o con maggior rischio (CDS: Credit Default Swaps). In pratica, i cosiddetti derivati hanno ridotto il valore dell'industria e dei salari.

Tutte le crisi finiscono con una crisi bancaria, dal momento che il capitalista o il lavoratore indebitato cerca di ottenere prestiti sempre maggiori che alla fine non riesce a pagare. L'aumento dei tassi di interesse, a quel punto, fa scoppiare la bolla.

Le cause della crisi

Alcuni marxisti attribuiscono la crisi ai bassi consumi, altri alla caduta del saggio di profitto, altri ancora agli squilibri di bilancio che riducono gli investimenti produttivi. Un quarto punto di vista pone l'accento in particolare sul fallimento finanziario come causa fondamentale. Altri pensano che siano tutte queste cose messe assieme. A mio avviso, tutte le crisi vengono causate da tutti questi elementi insieme, ma c'è sempre un evento scatenante o una causa principale.

Questo non significa, tuttavia, porre fine alla discussione dal momento che è ovvio che i governi hanno svolto un ruolo centrale nelle recenti crisi. Probabilmente è più corretto dire che le classi dirigenti e i vari governi sono stati al centro della crisi. A questo proposito è chiaro che la classe dominante ha messo in pratica una particolare strategia in questa fase, che ha clamorosamente fallito - quella della finanziarizzazione, che ha coinvolto in particolare le politiche sul lavoro.

Sicuramente c'è stata anche la necessità di risolvere un problema tecnico nell'individuare forme di investimento per risolvere gli squilibri dei bilanci in un periodo in cui la fine della Guerra Fredda aveva reso instabile il sistema. Non possiamo però guardare alle crisi semplicemente in termini di contraddizioni innate del capitalismo. Dobbiamo anche capire la reazione della borghesia e dei governi per comprendere la natura di questa crisi in particolare.

In altre parole, ci sono alcuni elementi della crisi attuale che generano un surplus di prodotto o plusvalore. La forma stessa riflette il declino del capitalismo come sistema. Ci sono due aspetti di questo declino: uno è il sistema finanziario, l'altro è l'intervento diretto della classe dirigente, come classe, attraverso le politiche dei governi e altri mezzi.

Per quanto riguarda il secondo: quando una società si avvicina al suo superamento, gli scenari futuri si manifestano, ma in forme altamente distorte - in questo caso attraverso il controllo cosciente dell'economia capitalista. Il "socialismo invasore", ha osservato Friedrich Engels, è stato attivato a vantaggio del capitale, per quanto possibile. Rudolf Hilferding (il teorico dei primi del ventesimo secolo del Capitalismo finanziario") aveva ragione quando scriveva che il capitale finanziario offre una forma organizzativa alla classe dominante. Non abolisce la concorrenza, ma l'interesse collettivo della classe dominante può esprimersi quando è necessario e soprattutto quando è minacciato.

Durante la guerra fredda, tale espressione si è manifestata attraverso le politiche degli Stati Uniti come potenza imperiale dominante, che di fatto ha coordinato la classe dirigente attraverso una serie di istituzioni. La fine della Guerra Fredda e il declino degli Stati Uniti ha creato problemi alla classe dominante in questo senso.

Per quanto riguarda il primo punto, la finanza è stata effettivamente la strategia adottata a partire dalla fine degli anni settanta.

Il problema, all'inizio della crisi, è stato che la grande crescita del capitale in relazione al lavoro, ma le enormi concentrazioni di capitale accumulate non potevano essere reinvestite, se non come capitale fittizio, sotto forma di vari tipi di prestiti e loro derivati. Il denaro non può produrre più soldi in sé o produrre valore senza l'intervento del lavoro. Il denaro, se non passa attraverso il lavoro, non riesce a chiudere il cerchio e a produrre altro capitale.

Concretamente, la borghesia non ha potuto reinvestire perché non c'erano imprese su cui investire, per cui hanno versato denaro negli investimenti finanziari - derivati, borsa, immobili, immobili commerciali. Un cifra imponente che ha causato l'aumento dell'inflazione.

La spiegazione borghese di questo fenomeno è che i cinesi e gli altri paesi asiatici hanno acquisito un surplus esterno pari al deficit degli Stati Uniti e sadicamente i cinesi si rifiutano di spendere il loro denaro per alzare il livello di vita della propria popolazione. Questo argomento è fragile- o meglio ancora, non ha senso.

C'è stata e c'è ancora un enorme quantità di denaro depositata presso diversi enti finanziari - nel 2007 erano 18 miliardi di dollari, nove volte il giro di affari delle aziende cinesi all'estero. C'era qualcosa come 110.000 miliardi di dollari nelle casse di istituzioni finanziarie come i fondi pensione, compagnie di assicurazione, private equity che dovevano (e devono) essere investite. Il tasso di crescita industriale in Occidente è troppo basso per assorbire questi soldi. Il risultato è stato una serie di bolle - prima la bolla dell'Asia orientale, poi l'implosione del Long Term Capital Management (NdT_4), seguita dallo scoppio della bolla dei dot.com.

Le guerre recenti hanno fornito un sollievo temporaneo per il sistema fino a quando non è crollato. Il denaro è stato spostato nel terzo mondo, in particolare verso la Cina, ma resta al di sotto del suo potenziale. Il capitale non si fida a investire denaro in paesi nei quali ha un controllo limitato. Le nazioni di Asia, Africa e America Latina non sono più colonie, e possono e hanno proprietà nazionalizzate e ad esempio l'Argentina ha rifiutato di pagare i propri debiti.

La situazione oggi

La situazione non è sostanzialmente cambiata. Il flusso di denaro si è spostato verso le cosiddette economie emergenti, dove i tassi di interesse sono più elevati, come nel caso del Sud Africa, dove sono all’8%.

I conti delle aziende, infatti, sono andati particolarmente bene l'anno scorso e grazie alla possibilità di licenziare i lavoratori e di pagare salari più bassi, hanno aumentato la produttività e i profitti.

La recente crescita dell'offerta monetaria negli Stati Uniti - dovuta all'alleggerimento quantitativo [NdT_5] è stata tecnicamente superflua dato che le società avevano già riserve di utili. Il motivo per cui la Federal Reserve ha immesso altro denaro nel sistema è dovuto al fatto che le aziende non stavano investendo. Con l'immissione di moneta si è tentato di far ripartire gli investimenti. Tuttavia, se nessuno investirà o spenderà denaro in modo produttivo, questo intervento non raggiungerà l'obiettivo.

I critici sostengono che l'emissione di denaro aumenterà l'inflazione globale. Alcuni, a sinistra come a destra, concordano. Non esistono basi per questa teoria. Il flusso di denaro verso i paesi in via di sviluppo va in gran parte in investimenti di portafoglio o di titoli di Stato piuttosto che in investimenti diretti. I tassi di interesse sono elevati in quei paesi e possiamo aspettarci che il denaro venga ritirato non appena i tassi di interesse si saranno ridotti. Altri investimenti speculativi vengono fatti sulle materie prime. In effetti, c'è una nuova bolla sulle materie prime e alimentari, che scoppierà di certo a breve.

Ma se c'è un Capitale che non investe, cioè che non fa il Capitale - perché non lo fanno gli stati? Un editoriale del Financial Times scriveva: "Allo stesso tempo, le aziende sono in forma smagliante. Hanno molto denaro contante dopo aver usato la recessione per fare scorta di liquidità a buon mercato e razionalizzare il loro business - licenziando lavoratori e migliorando la loro produttività: quindi sono previsti 18 mesi di crescita e profitti, ma non nuovi posti di lavoro ".

Quindi perché non usano i loro soldi per aumentare il loro capitale? Il FT dice poi: "l'incertezza negli affari si nutre di se stessa: le multinazionali cercano di rinviare il più possibile gli investimenti aspettando la crescita della domanda, ma più aspettano, più a lungo si dovrà attendere che la ripresa inizi a materializzarsi. In economia come altrove, la cosa che fa più paura è la paura stessa. Ci sono ragioni per sperare che le imprese americane torneranno ad essere di nuovo propense al rischio." [3]

Quindi il problema, secondo gli editorialisti del Financial Times, è che gli imprenditori hanno paura di rischiare i loro capitali. L '"incertezza" è troppo grande. Naturalmente l'economia borghese sostiene assurdamente che i profitti sono la ricompensa di rischio. Quindi, la classe capitalista, secondo loro, ha paura di rischiare il suo capitale, anche se questa è la funzione del capitale stesso. In realtà, il capitalismo tende a ridurre il rischio al minimo assoluto, piuttosto che perdere il loro capitale o profitto potenziale. Ma di che cosa hanno paura?

Il Financial Times sembra voler dire che il problema è temporaneo, ma in realtà è proprio questo problema che ha prodotto la crisi. Apparentemente, le banche stavano facendo del loro meglio per prestare soldi a tutti quanti, il che non è solo rischioso, ma anche stupido.

Quindi la versione ufficiale è che le banche sono state avide, non solo avide, ma stupidamente avide. Hanno corso rischi elevati, per guadagni molto grandi.

Anche un bambino di 10 anni può capire che questa è una sciocchezza. Le banche non hanno investito nell'industria, ma in mutui e derivati - o in altre parole in prestiti e prestiti derivati - mentre l'economia aveva pochi investimenti al di fuori della finanza. Una volta tolta la finanza dalle statistiche, il tasso di crescita è molto basso.

Allora perché la classe capitalista in Occidente ha preferito investire in settori improduttivi ed esportare il proprio capitale ad Est? Come accennato in precedenza, i paesi del Terzo Mondo come il Brasile stanno soffrendo per l'eccesso di capitale occidentale investito. Come risultato si stanno prendendo provvedimenti per limitare l'afflusso.

Ci sono due punti da sottolineare. In primo luogo, è chiaro che ci sono ingenti somme di denaro che sono alla ricerca di imprese, in quanto vi erano prima della crisi e in secondo luogo la maggior parte, anche se non tutti, degli investitori non sono disposti a investire il loro denaro in società di produzione reale.

L'enorme quantità di capitale è alla ricerca di profitti a breve termine. Il suo valore è sceso durante la crisi, ma si sta muovendo di nuovo. Ovviamente un modo di spendere soldi è quello di sprecarli, come nella recente costruzione del palazzo più costoso del mondo a Hyde Square 1 a Londra, dove un appartamento costa 200 milioni di dollari, oppure nella costruzione di yacht.

Il concetto di capitalismo finanziario

Quindi, cosa sta succedendo in termini più teorici? Un modo di vedere la cosa è parlare di uno sciopero del capitale, come hanno fatto alcuni gruppi a sinistra, ma questo implica che essa sia un'azione a breve termine, mentre si tratta di una strategia a lungo termine. Il concetto di Capitalismo finanziario è fondamentale. È il capitale astratto, scollegato da qualsiasi impresa produttiva in particolare, che è necessariamente a breve termine, improduttivo e predatorio, [4], ma che è riuscito a spostare i termini della lotta di classe a vantaggio del capitale.

In Europa e negli Stati Uniti, la logica di una soluzione keynesiana o popolare alla crisi porterebbe verso l'espansione monetaria e la crescita delle industrie nazionalizzate. Eppure le imprese private hanno difficoltà a fare investimenti su vasta scala per lunghi periodi di tempo. Ormai regolata dal capitalismo finanziario, ragionano necessariamente a breve termine.

Nessuna legge può cambiare il fatto che i ricchi investitori, che hanno i fondi necessari, vogliono guadagni immediati e sono restii ad assumersi i rischi connessi alla ricerca e sviluppo per lunghi periodi, senza l'appoggio del governo. D'altro canto, una parte considerevole del capitale ha paura di lasciare al governo un ruolo maggiore in economia e di ridare fiato all'economia aumentando il tasso di crescita.

Alcuni esperti sostengono che la crescita e l'innovazione proviene da aziende di piccole e medie dimensioni, che devono essere aiutate da investimenti "pianificati" dallo Stato. L'argomento non ha alcun fondamento, essendo le PMI a se stanti e di poca importanza.

L'industria automobilistica, l'industria aeronautica, l'industria militare, l'industria farmaceutica e chimica sono dominate da grandi aziende come General Motors, Boeing, Pfizer e simili, che hanno in mano gran parte del mercato. Le aziende più piccole sono effettivamente controllate dai loro acquirenti quasi sotto ogni aspetto.

Questa vetrina ha il solo scopo di nascondere le reali intenzioni dietro il programma di austerità permanente. Il significato della crisi è che la strategia del capitale finanziario è ormai implosa e la classe capitalista non ha più una strategia se non quella del ritorno al capitalismo classico, con la disoccupazione di massa e uno stato sociale minimo.

Hillel Ticktin

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Note dell'Autore:

[1] Hillel Ticktin, ”The Crisis and the Capitalist System Today,” Critique 53, 355-371, ripubblicato da Routledge 2011, in Hillel Ticktin (ed) : Marxism and the Global Financial Crisis. Hillel Ticktin, “The Transitional Epoch, Finance Capital and Britain,” Critique 16, 1983, 23-42 & Hillel Ticktin, “Towards a Theory of Finance Capital,” Critique 17, 1-16, 1986. Recentemente discusso in: Hillel Ticktin, “A Marxist Theory of Capitalist Instability and the Current Crisis,” Critique 47, February 2009, 13-30, e su "Critique Notes" negli ultimi 2 anni.

[2] Karl Marx, Theories of Surplus Value, Vol. 2, Lawrence and Wishart, London 1969, Progress Publishers, Moscow 1968, 510.

[3] “Something Stirring in the US Economy.” Financial Times, Saturday 8th January 2011, 10.

[4] For a discussion of Finance Capital see : Hillel Ticktin, “The Transitional Epoch, Finance Capital and Britain,” and “Towards a Theory of Finance Capital,” op. cit.

* From Against the Current, July/August 2011, ATC 153.

Mis en ligne le 8 août 2011

Note del Traduttore:

[1] La caduta tendenziale del saggio di profitto è una formula dell'analisi economica marxiana. Con caduta tendenziale del saggio di profitto Karl Marx ne Il Capitaleidentificò quel fenomeno secondo cui l'aumento progressivo degli investimenti sui macchinari a scapito degli investimenti sui salari avrebbe prodotto come risultato tendenziale del processo produttivo un saggio di profitto sempre minore. Marx giunse a questa conclusione sulla base della teoria del valore: essendo il capitale sotto forma di salari (capitale variabile) ad essere l'unica fonte di plusvalore, l’aumento della composizione organica del capitale riferita agli investimenti sulle macchine e sul continuo aggiornamento tecnologico (capitale costante) avrebbe dato come risultato del processo produttivo dei profitti progressivamente decrescenti in proporzione agli investimenti complessivi.

In particolare il saggio del plusvalore è nella teoria marxiana il rapporto tra plusvalore e capitale variabile, e il saggio di profitto è invece il rapporto tra il plusvalore e l’insieme del capitale investito, ovvero capitale variabile e costante (salari più macchinari,materie prime e ausiliarie). In formule:

Saggio del plusvalore = Plusvalore/Capitale Variabile

Saggio di profitto = Plusvalore/(Capitale Variabile + Capitale costante)

[2] SMEs: small and medium size enterprises

[3] LBO o Leverage buyouts, ovvero le acquisizioni di società attraverso NewCo costituite ad hoc

[4] Il fondo Long Term Capital Management (LTCM) era un fondo speculativo nel cui board figuravano grandi protagonisti del mondo economico.

Fu istituito nel 1994 da Meriwether ed il suo team proveniente dalla Salomon Brothers e si basò sui modelli matematici creati dai premi Nobel Robert C. Merton e Myron Scholes. Compiva, perlopiù, operazioni di arbitraggio economico.

[5] QE2 o "quantitative easing", ovvero la creazione di moneta da parte della banca centrale e la sua iniezione, con operazioni di mercato aperto nel sistema finanziario ed economico